Cronaca (quasi) quotidiana

In collaborazione con ManfredoniaNews.it

In questo Cronaca quotidiana, o quasi dipendendo dalla possibilità di connessione alla rete lungo il tragitto, cerco di descrivere i fatti salienti della giornata.

Se avete domande o curiosità lecite, sarò lieto di rispondervi. mt@matteot.com

Cronache precedenti

Le seguenti cronache sono state incorporate nei capitoli del Diario di bordo e si consiglia la lettura di questi perché più ricchi di dettagli e completi.

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1842mo giorno, Ushuaia (S54°48.345′ W68°18.431′), Argentina, 17 febbraio 2015

map Argentina-ChileCronaca 116, Ushuaia, Argentina, 17 febbraio 2015 16:20 – Alcuni cicloviaggiatori che ho incrociato, e che risalivano il Sud America, mi avevano messo in guardia sulle pessime condizioni delle strade boliviane, le peggiori che abbiano mai incontrato un tutto il tragitto dalla Tierra del Fuego. Sino a Uyuni, li avevo snobbati perché da La Paz avevo sempre trovato un fondo ben asfaltato, evidentemente questi non erano mai stati in Birmania dove le direttrici principali sono una tortura per i rari cicloviaggiatori che si avventurano a percorrerle. Sulla mappa del GPS e su Google Maps la Nazionale 21 per Tarija e poi la 11 per Villa Montes sono indicate come autostrade “normali”. Perciò, la mattina del 5 novembre 2014, ho cominciato a pedalare sul tratturo sterrato, indicato come N21, convinto che fosse solo un breve tratto. Una decina di chilometri più avanti ho chiesto ad un pastore che vigilava un gregge di lama e pecore quando cominciasse l’asfalto, questo mi ha risposto che non c’era catrame. Per essere sicuro della cosa, ho domandato quando finisse lo sterrato, la risposta è stata “mai!”. Avevo percorso solo la prima decina di 700 chilometri di cammino sino alla frontiera paraguaiana e il nero bitume era una sostanza sconosciuta, mentre il bianco della breccia cominciava a riflettere i raggi solari, come il candido sale del Salar de Uyuni. Ho presto notato che la corsia più comoda dove pedalare, e dove le mie sottili ruote non si affossavano, non era l’autostra-tratturo ma il sentierino perfettamente parallelo alla strada creato dal calpestio dei greggi di lama che si muovono in fila indiana seguendo il maschio alfa, dopotutto i lama sono camelidi che, come i loro cugini sahariani e nel Gobi, formano lunghe code quando si spostano.

Matteo preparando pizzaLa sola forza di volontà mi ha fatto raggiungere la città di Tarija, dove ho trovato alloggio nell’ostello La Casa Blanca. Qui alcuni dei residenti mi hanno chiesto di preparare un piatto italiano per cena. Chiaramente ho accettato e preparato un risotto ai broccoli per una decina di persone, che mi è venuto particolarmente cremoso e saporito. Senza saperlo, il successo di quella prima cena, è stata una dichiarare di guerra culinaria a Dong Mai, una trentenne cinese venuta lì in vacanza e che non era riuscita a resistere all’istinto commerciale intraprendendo il business di importare abiti da sera dal suo paese. Sino ad allora lei era stata la regina della cucina deliziando tutti con piatti della regione d’origine nel nord della Cina. La sera successiva, quella figlia dell’Impero di Mezzo, ha contrattaccato preparando ben cinque portate tra cui: ali di pollo caramellate, zuppa di manzo e delle adorabile verdure saltate all’olio di sesamo. Per la controffensiva del giorno dopo, ho deciso di proporre un classico della cucina italiana: pizza e calzone, che mi hanno fatto riportare una significativa vittoria tanto che la stessa pietanza mi è stata richiesta il dì seguente. Ma per la cena consecutiva, Dong Mai ha tirato fuori l’artiglieria pesante preparando: 蒸馄饨 (wonton al vapore) e delle cosce di pollo marinate per 12 ore, cotte al forno e poi saltate con la salsa di soia. Queste ultime erano talmente soffici che si scioglievano in bocca, una vera diavoleria cinese degna del palato degli imperatori Han. A quel punto, non avevo che una possibilità per la stoccata finale, pescare nella tradizione mediterranea più autentica: parmigiana di zucchine. Non potevo farcela da solo, sia per la laboriosità del piatto sia perché il numero dei commensali era passato dalla decina della prima sera a più di venti, con gli amici dei proprietari e dei dipendenti che avevano avuto notizia della tenzone culinaria e si erano aggregati. Così ho chiesto aiuto a una ragazza francese disegnatrice di moda, un indiano che lavora come sommelier a Dubai, un architetto australiano e una dottoressa belga specializzata in malattie tropicali. Con questa squadra degna delle Nazioni Unite e capace di far zittire il più perfido dei Masterchef, che oggigiorno tanto vanno di moda in televisione mente dovrebbero essere relegati ai fornelli!, abbiamo affettato, impanato e fritto zucchine per tutto il pomeriggio, mentre il sugo è stato preparato con pomodori freschi del tipo San Marzano. Il tutto è stato posto in strati perfettamente stabili e simmetrici, anche grazie alle conoscenze tecniche dell’architetto in fatto di equilibrio di forze, le stesse che servono a tenere in piedi un grattacielo e, con il tocco estetico della stilista, tre grandi teglie ancora fumanti sono state portare a tavola per lo sbalordimento degli occhi dei banchettanti e il godimento dei loro palati. Non credo che questo confronto tra le due tradizioni culinarie più grandi al mondo, o almeno le più diffuse, abbia avuto un vincitore perché esse si fondano su basi filosofico-culturali talmente differenti che è inconcepibile solo compararle.

cena a La Casa BlancaNonostante le imploranti richieste, non solo dei residenti ma anche di vari boliviani, di estendere la mia permanenza nell’ostello, il 13 novembre ho lasciato quel luogo che era diventato più familiare della mia stessa casa, imboccando un altro sterrato per Villa Montes. Avevo trascorso gli ultimi due mesi a un altitudine di circa 4000 metri, respirando a fatica e soffrendo sempre il freddo, ora mi trovavo ai margini dell’Amazzonia a poche centinaia di metri d’altitudine dove l’ossigeno abbonda ma il caldo soffoca, in questo continente si passa da un estremo all’altro! Da lì il mio programma era di percorrere il centinaio di chilometri alla frontiera paraguaiana ed entrare in quel misterioso, o almeno poco visitato paese, ma le piogge monsoniche avevano trasformato la strada in un acquitrino. Per cui ho dovuto prendere la Nazionale 9, perfettamente asfaltata, che arriva a Yacuiba, città di frontiera con l’Argentina e attaccare le vaste prateria della “pampa”.

“Pampa” è parola del dialetto indigeno Quechua e significa semplicemente pianura, infatti da qui comincia una piana che si estende a perdita d’occhio verso oriente, mentre in lontananza a ponente si scorge la bruna massa delle Ande. Per i primi 700 chilometri la pampa alterna tratti di arido deserto roccioso con piante grasse, a una savana di bassi alberi e cespugli spinosi. Tra gli uni e gli altri l’uomo ha creato zone irrigate dove si estendono coltivazioni a cereali talmente vaste che il medesimo campo ininterrotto termina ben oltre la linea dell’orizzonte, i più estesi che abbia mai visto in vita mia. Sino ai paraggi di Salta, il vento mi è stato avverso poi, come per magia, ha girato spirando da nord, perciò sospingendomi e permettendomi di percorrere una media di ben 160 chilometri al giorno.

Matteo Argentina border - PatagoniaCon le ali ai pedali, il 29 novembre sono arrivato a Cordoba, dove avevo contattato alcuni membri della rete Warmshowers.org ricevendo varie risposte positive e scegliendo di accettare l’ospitalità di Lucas, un ventenne che divide un appartamento con Matias, suo coetaneo. Il giorno che sono arrivato c’era una festa, in realtà era la continuazione dei festeggiamenti della notte prima, terminati all’alba!, per il compleanno di Matias. Si trattava di un semplice ritrovo di una ventina di amici per terminare una cassa di birra e alcune bottiglie di vino e superalcolici, tra cui un paio di Fernet Branca, che i giovani argentini consumano in gran quantità mischiandolo con la Coca-Cola. La sera successiva, altri amici hanno portato ancora da bere e così ogni giorno della settimana che mi sono fermato in quella casa, che mi ricordava quando alla stessa età la mia vita non era troppo differente da quella di Lucas e compagnia.

L’articolo 25 della costituzione argentina del 1853 recita “El Gobierno federal fomentará la inmigración europea; y no podrá restringir, limitar ni gravar con impuesto alguno la entrada en el territorio argentino de los extranjeros que traigan por objeto labrar la tierra, mejorar las industrias, e introducir y enseñar las ciencias y las artes”. Con tale base giuridica non sorprende che un detto sudamericano dica: “Los mexicanos descienden de los Aztecas, los peruanos de los Incas y los argentinos de los barcos”. Infatti, tra il 1876 e il 1930, degli oltre cinque milioni di emigranti scesi dalle navi, ben tre venivano dalla penisola italica, principalmente da Veneto, Lombardia e Liguria, mentre l’immigrazione dalle regioni meridionali si dirigeva verso gli Stati Uniti. Perciò non è sorprendente che oggigiorno il 50% degli argentini abbia progenitori italiani, tanto da far dire allo scrittore messicano Octavio Paz: “Los argentinos son italianos que hablan español y se creen franceses”. Inevitabilmente, i discendenti degli emigrati italiani hanno fortemente caratterizzato la storia di questo paese in tutti i campi, a cominciare dal generale e patriota Manuel Belgrano che ha disegnato la bandiera, passando per i calciatori Alfredo di Stefano, Omar Sivori e Lionel Messi e, rimanendo nel campo sportivo, la tennista Gabriela Sabatini, continuando con i compositori Astor Pizzolla e Osvaldo Pugliese, ancora lo stesso presidente Juan Perón e finendo con l’attuale pontefice Francesco Primo al secolo Mario Bergoglio. Qui ho enumerato solo alcuni di quelli che hanno ottenuto una rinomanza internazionale altrimenti la lista sarebbe sicuramente lunghissima e certamente incompleta.

Scultura ciclista - ArgentinaAnche senza sapere quello che ho riportato qui sopra, appena passata la frontiera mi sono immediatamente sentito in un luogo con molto di familiare, per le piazzette circondate da bar con tavolini dove tazzine di caffè espresso sono bevute da gente che gesticola e si atteggia come gli abitanti di Palermo, Napoli o Torino, oppure i negozi di tortellini, fettuccine e ravioli alla ricotta e parmigiano fatte a mano, o ancora le pizzerie con larghe teglie di fumante pizza al taglio e freschi tramezzini quadrati o triangolari. L’influenza non si limita alla sfera culinaria ma si estende all’abbigliamento con le boutique che non hanno nulla da invidiare alle migliori milanesi o romane; ai programmi televisivi della stessa bassa qualità con ballerine scosciate e dagli ampi décolleté; alla corruzione politica, per cui i telegiornali dei due paesi sono virtualmente identici (un’interessante lettura è “L’Italia come l’Argentina? Similitudini e contraddizioni di due democrazie malate” di Daniela Bruno Carapella); alla passione smodata per il calcio; all’umorismo a forte sfondo sessuale e maschilista; persino sono varie le parole italiane che sono diventate di uso comune nel distorto castigliano argentino. Anche qui la lista sarebbe ancora estesa e non farebbe che confermare il fatto che come italiano mi sono sentito immediatamente in sintonia culturale con i ragazzi a Cordoba e con tutti gli altri argentini che ho incontrato e, per certi aspetti, molto più in armonia che con i miei connazionali in suolo patrio. È come se gli argentini fosse italiani ma che da tanto tempo vivono all’estero e hanno perciò perso alcuni dei loro caratteri più distintivi mantenendone comunque delle forti caratteristiche, esattamente come il sottoscritto…

Matteo Tricarico - frontiera ChileErgo, il 4 dicembre mi è stato molto penoso lasciare Cordoba e proseguire a sud sino a Rio Cuarto, per poi svoltare a ovest per Mendoza e raggiungere la frontiera cilena. Lungo la via mi sono fermato per la notte nel rifugio di Punta de Vacas a 3000 metri d’altitudine, che è ricavato da una stazione ferroviaria sulla linea per Santiago oggi in disuso. Quel giorno ero l’unico ospite e la notte i gestori sono andati via lasciandomi completamente solo tra quelle montagne inabitate per decine di chilometri. Dalla torrida e verdeggiante pampa ero passato all’arida e gelida cordigliera della Ande, salendo sino ai 3600 metri del passo los Libertadores, anche se una galleria attraversa la montagna così che il traffico non arriva a quell’altitudine. Alle biciclette è vietato usare il tunnel, quindi sono stato caricato su un camioncino che mi ha depositato all’altro lato, anche se avrei potuto passare il confine via il vecchio passo del Cristo Redentor, allungando di una decina di chilometri, ma non ne avevo voglia, può darsi che mi stia impigrendo! I controlli doganali cileni sono stati i più rigorosi a cui sia mai stato sottoposto e gli unici dove abbia dovuto aprire tutte e tre le bisacce mostrarne il Caracol paso los libertadorescontenuto completo. Terminate le formalità doganali, ho inforcato nuovamente la bicicletta e mi sono trovato di fronte a un precipizio di un chilometro dove l’uomo ho creato una strada sette volte quella distanza che si snoda in 20 tornanti a gomito. Questo tratto è considerato uno dei più spaventosi e pericolosi al mondo e ho potuto constatarlo di persona assistendo a un incidente in cui un camion, che trasportava un container di bottiglie di vino rosso, si è capovolto in una delle ultime curve in alto. Il container si è staccato dalla motrice rotolando verso il basso per alcuni metri, le bottiglie si sono rotte e dallo scatolone di metallo è sgorgato copioso il liquido rosso che ha creato un vero ruscello tanto fragoroso e odoroso da bloccare il traffico per alcune decine di minuti. Era uno spettacolo surreale, che ha fatto intristire alcuni degli automobilisti che ho sentito proferire parole del tipo “che peccato” oppure “è un delitto”.

Matteo e Dong Mai alle terme - Iquique CileDal 15 al 17 dicembre sono rimasto a Santiago del Chile ospite di Daniela, una ventenne insegnante di educazione fisica e giocatrice di pallamano selezionata per la nazionale femminile. Alcuni giorni prima, mi aveva contattato Dong Mai che dalla Bolivia si era trasferita a Iquique, nell’estremo nord del Chile e che aveva espresso il desiderio di rivedermi. Anche se ci trovavamo nello stesso paese, c’erano 1850 chilometri che ci dividevano, una distanza che non potevo percorrere in bicicletta perché avrei dovuto ritornare sui miei passi, ritardando l’arrivo in Tierra del Fuego di almeno un paio di mesi. Pertanto ho lasciato la bicicletta da Daniela e ho preso un autobus che in 21 ore mi ha portato da Dong Mai che mi aspettava alla stazione. Entrambi siamo stati ospitati da Carolina, una sua amica che il giorno dopo ci ha lasciato la casa per andare a trascorrere le vacanze natalizie dai genitori nel sud. I primi quattro giorni con la mia amica orientale sono stati idilliaci e molto attivi: abbiamo partecipato alla cena di fine anno dell’associazione dei discendenti cinesi di Iquique; siamo stati invitati ad un paio di feste di compleanno; con Miriam e Chisen, una coppia amica di Carolina, con lui cinese cantonese di terza generazione, abbiamo visitato l’altopiano a est della città, considerato il posto più arido al mondo, andando a fare il bagno in una pozza d’acqua calda sulfurea a 2700 metri d’altitudine. Chisen ci ha anche invitato a pranzo a casa sua dove sia io che Dong Mai abbiamo cucinato e conosciuto il padre. Questo ci ha raccontato di aver passato un periodo in prigione durante la dittatura di Pinochet con l’accusa di comunismo per colpa di una copia del libretto rosso di Mao che aveva portato come souvenir una decina d’anni prima da un viaggio in Cina e che gli agenti del regime avevano trovato in soffitta durante una delle frequenti perquisizioni a caso.

tramonto al mare - iquiqueI problemi con Dong Mai sono cominciati il 23 dicembre alle 1:12 della notte quando lei mi ha chiesto quali fossero i miei programmi per il futuro… Per esperienza ho imparato che si ha più probabilità di uscire vivo da un campo minato in Cambogia che di dire a una ragazza che per ora non c’è futuro con lei. Ho cercato di evitare di dare una risposta precisa per un’oretta e “Devo finire il viaggio, poi ne parliamo…” è stata la scintilla che ha incendiato la polvere che ha portato alla detonazione di una serie di espressioni tratte dal classico prontuario che le fanciulle di qualsiasi continente proferiscono in simili occasioni. Dai tempi dell’Homo Erectus, le locuzioni seguono esattamente lo stesso ordine, cioè: che cosa voi da me?; vuoi solo giocare con il mio cuore!?; voi uomini site tutti uguali! Vai via che non ti voglio più vedere. Nulla è cambiato nelle reazioni delle femmine della nostra specie negli ultimi due milioni di anni nonostante l’indiscusso passaggio evolutivo del maschio che lo ha portato a preoccuparsi, quindi gioendone, del presente più che angosciarsi, quindi soffrendone, dell’incerto futuro. Quello femminile è semplicemente un limite evolutivo, colpa di Madre Natura che non credo riuscirà a risolverlo nemmeno con Homo Spazialis, quando lasceremo questo pianeta per vivere su altri mondi. Un altro degli effetti della mancanza di questo anello evolutivo è che per le donne lo spazio temporale che intercorre tra proferire parole di tenero affetto e quelle di odio più profondo supera di gran lunga la velocità di un Neutrino, che pare sia ben 60 nanosecondi più rapido della luce. Mentre non tutti al CERN sono d’accordo su quest’ultima ipotesi scientifica, c’è assoluta concordia sulla superiore rapidità del passaggio dall’amore all’odio nella mente femminile, tanto veloce che non è razionalmente quantificabile per mancanza di una scala di valori empirici e teorici che la misuri.

leoni marini - iquiqueLa pretesa di questa discendete degli Han di interrompere il mio viaggio per stare con lei era superata, nella sua assurdità, solo da quella che uscissi dall’appartamento a quell’ora della notte, per allontanarmi da lei il prima possibile. Le sue urla hanno svegliato i vicini, qualcuno ha bussato alla porta e questo ha avuto l’effetto di calmarla anche se non l’ha fatta ritornare alla ragione, per fortuna i cinesi preferiscono evitare gli scandali. Ad un certo punto è andata in cucina uscendone con un coltello da tavola senza punta, per fortuna l’unica arma bianca presente nell’appartamento perché Carolina ha la reputazione tra gli amici di mai cucinare a casa e mangiare sempre al ristorante, abitudine poco salutare per lei ma che si è rivelata salubre per il sottoscritto e che probabilmente mi ha salvato la vita. Non è la prima volta che una ragazza cerca di ammazzarmi: in Laos una ex mi ha attaccato con uno di quei coltellacci cinesi a mannaia, anni prima in Inghilterra un’altra ha cercato di strangolarmi nel sonno e in Egitto una russa ha appiccato il fuoco alle lenzuola del mio letto, per cui conosco la pericolosità di una donna che si è immaginata un futuro con me e che si rende conto della sua irrealizzabilità.

Tra gli insulti che Dong Mai mi ha rivolto, quello che più mi ha colpito è stato di essere un 不可靠的, cioè un “inaffidabile”, nel senso che una persona della mia età che lascia tutto e si mette a fare il giro del mondo in bicicletta non può che essere un poco di buono, un irresponsabile, un immaturo. Francamente dal mio punto di vista questi aggettivi mi rendono abbastanza fiero di me stesso e della mia anormalità visto che ho sempre aborrito la normalità o almeno mi è sempre stato difficile essere normale, ma nella sua ottica queste sono le peggiori caratteristiche che un uomo possa avere. Ho dovuto fare appello a tutto il mio sangue freddo e diplomazia per convincerla di lasciarmi dormire sul divano, promettendole che la mattina seguente sarei andato via prima del suo risveglio. L’avrei fatto, se solo lei non si fosse svegliata alle prime luci dell’alba, un paio d’ore più tardi, accusandomi di essere oltre che un 不可靠的 anche un bugiardo…

panorama deserto iquiqueVisto che quella notte non avevo chiuso occhio, anche se mi ero assopito sul divano restando comunque con un occhio aperto per la paura essere colpito da un qualche oggetto contundente, ho dormito perfettamente buona parte delle 21 ore di autobus per tornare a Santiago de Chile. Anche perché il panorama per i primi 1350 chilometri è tra i più noiosi e monotoni al mondo, essendo la parte finale del deserto costiero che dalla frontiera tra Ecuador e Perù si estende per 4000 chilometri tra il Pacifico e la Cordigliera sino alle valli di La Serena dove, come per magia, la sabbia biancastra si trasforma in terra ricoprendosi di vegetazione. Con la sua visione del mondo di ventenne, dopo averle raccontato la mia sventurata avventura sentimentale, Daniela ha detto che comunque era un’esperienza, da quarantacinquenne le ho risposto che alla mia età mi interessano solo quelle buone che di cattive ne ho già avute abbastanza.

Matteo Pascal e famiglia al vulcanoIl 28 dicembre ho inforcato la bicicletta imboccando la Pan-americana direzione Pucon, un migliaio di chilometri più al sud. Nel percorso ho fatto un paio di deviazioni tra cui un’interessantissima a Curacautin dove sono stato ospite di Pascal, un ingegnere francese che con sua moglie in nove mesi ha percorso a piedi, quindi camminando!, i 3500 chilometri da Santiago a Puerto Natales. Ora si sono stabili a Curacautin e hanno due figlie rispettivamente di tre anni e sei mesi. Mi hanno portato sulle pendici del vicino vulcano Tolhuaca la cui ultima eruzione risale allo scorso anno. Non ero mai stato tanto vicino alla bocca di un vulcano attivo che si presenta come un paesaggio lunare e non avevo mai camminato su una nera colata lavica che sino a pochi mesi or sono era roccia incandescente.

Matteo panamericanaPucon è un villaggio, diventato turistico, che si trova sulle rive del lago Villarica ai piedi dell’omonimo vulcano, che è un perfetto cono fumante. Qui ho incontrato Catalina e Arturo, una coppia di artigiani hippy che ho conosciuto in Messico un anno e mezzo fa. Sono sposi da sei mesi, dopo sette anni di vita comune nomade attraverso tutta l’America latina. Lei figlia di due rinomati professori universitari e lui di una facoltosa famiglia catalana, hanno abbandonato le comodità e le mollezze della vita borghese per mantenersi confezionando e vendendo piccoli capolavori di bigiotteria con pietre semi-preziose incastonate con fili di argentone e di nailon policromo intrecciato. Già a Playa del Carmen li ho trovati due persone molto piacevoli da frequentare, interessanti e un po’ li ammiro per la loro scelta di vita, libertà di spirito e capacità di menare un’esistenza alternativa e fuori dai comuni schemi piccolo borghesi.

vulcanoSe gli argentini per la loro composizione etnico-culturale hanno nel bene e nel male tanti aspetti degli italiani, i cileni per gli stessi motivi hanno forti elementi culturali tedeschi e svizzeri per aver avuto una rilevante immigrazione teutonica. Infatti, passando dalla pampa all’altro lato delle Ande, la gente perde quel gesticolare e loquacità tipicamente mediterranea, tutto è più organizzato ed efficiente, le strade sono molto migliori e la polizia cilena è al terzo posto dell’invidiabile classifica delle meno corrotte al mondo. Rispetto all’Argentina, il Cile ha un’economia molto più produttiva e florida e lo Stato non soffre dell’endemica fragilità che porta alla bancarotta, o quasi, a regolari cicli ventennali. Eppure il Cile ha minori potenzialità del suo vicino a est, avendo inferiori risorse naturali, un territorio infinitamente più piccolo e meno popoloso. Gli argentini spiegano questo successo attribuendolo alla maggiore laboriosità dei vicini, un po’ come gli italiani sono accusati di essere degli sfaticati rispetto ai tedeschi, ma non lo credo, piuttosto penso che tutta la differenza stia nella diversa coscienza civile e sociale dei popoli mediterranei rispetto a quelli germanici e scandinavi. Senza entrare nell’analisi storico-culturale-religiosa che ha portato a questa differenza, è innegabile che i cittadini nord europei hanno un maggior rispetto per la collettività in cui vivono e ognuno si sente una cellula di un organismo sociale complesso e tutte sono tese al bene comune. Ciò per conseguenza porta a restringere la libertà individuale, mentre i popoli sud europei sono molto più individualisti per cui la libertà dell’individuo è un valore molto più alto del bene comune. Le diverse migrazioni di popolazioni europee hanno caratterizzato l’evoluzione e il successo sociale e economico dei queste due nazioni sudamericane.

matteo con vulcanoPersonalmente sono un passional-individualista, per cui preferisco i paesi meno organizzati ma più “umani”, che si tratti di europei, americani o asiatici dove, ad esempio, prediligo le culture di derivazione indiana, che sono simili a quelle mediterranee, come il Laos o la Cambogia, rispetto a quelle cinesi, come il Vietnam affine a quella teutonica e scandinava. Per ciò, con gran piacere l’undici gennaio 2015 ho riattraversato la cordigliera per rientrare in Argentina e mettere ruota in Patagonia. Il termine Patagón, traducibile dallo spagnolo antico come “dai grandi piedi”, fu coniato da Ferdinando Magellano impressionato dell’altezza degli indigeni che poteva raggiungere due metri e, per conseguenza, avevano dei piedoni. Questa regione è sinonimo di isolamento, lontananza e distanza dalla civiltà umana. Tanto per riportare solo tre citazioni letterarie che ho per caso incontrato negli ultimi mesi: è il posto dove la creatura del dottor Frankenstein nel libro di Mary Shelley avrebbe voluto andare a vivere per non entrare più in contattato con gli umani; Benito Perez Galdos fa dire a Don Paco che neanche ritirarsi in quel luogo avrebbe potuto sfuggire all’ira della Contessa doña Maria; e Emilio Salgari in “Meraviglie del 2000” la cita varie volte come l’ultimo luogo dove ci sono ancora spazi aperti. Di fatto questo è il limite geografico delle terre abitate e per quello che ho potuto constatare di persona la fama di questa regione è pienamente meritata e corrisponde a realtà.

Matteo Tricarico - rio Azul AgentinaAnche se amministrativamente la provincia argentina di Patagonia non comincia che una cinquantina di chilometri a sud di San Carlos de Bariloche, già da San Martin de los Andes, il termine appare a ogni piè-sospinto. Nei 400 chilometri tra Juanin de los Andes e El Bolson la vegetazione è fondamentalmente la stessa dell’Alaska e dello Yucon, cioè una lussureggiante foresta di conifere con sottobosco di piante dalle foglie larghe che competono per ogni raggio di sole che filtra tra i pini. Seguendo la Ruta 40, e passata la regione dei sette laghi, gli alberi di alto fusto scompaiono e comincia la steppa patagonica composta di bassi cespugli legnosi e di ciuffi d’erba che si estendono a perdita d’occhio e così avanti per i successivi 1500 chilometri sino a El Calafate ai piedi del ghiacciaio del Perito Moreno.

Se potessi tornare in dietro, non percorrerei la Ruta 40 ma prenderei il traghetto della Navimag che parte da Puerto Mortt e in quattro giorni arriva a Puerto Natales navigando tra i fiordi del Cile, sicuramente uno dei paesaggi marittimi più incantevoli al mondo! Capisco che questa affermazione potrà sorprendervi, dopo tutto ho attraversato in bicicletta le foreste tropicali asiatiche e centroamericane, i deserti iraniani e messicani, le montagne himalaiane e andine. Questi sono stati passaggi ardui che hanno messo a dura prova la mia resistenza e determinazione, ma sono state passeggiate nel parco al confronto delle lande patagoniche. Passata Tecka comincia il “Girone della Ruta 40”, dove vengono puniti i viaggiatori in bici che hanno peccato di presunzione e superbia per aver creduto che dopo aver pedalato per 58.000 chilometri la Patagonia sarebbe stato un altro tratto normale, ma non è così. I motivi che panorama porto Ushuaiahanno reso un inferno gli ultimi 2000 chilometri sino a Ushuaia sono vari e principalmente: il forte vento che spira da sud sud-ovest con velocità che superano i 70 km/h, che obbliga a pedalare inclinati e trascina al centro della strada, con il rischio di essere investiti dalle poche macchine e camion di passaggio; la scarsità di centri abitati con tratti anche di 400 chilometri scevri di presenza umana e dunque con impossibilità di approvvigionarsi di cibo e acqua; l’assoluta mancanza di ripari dal vento che la notte costringe a dormire dentro i tubi sotto la strada; circa 500 chilometri di polveroso sterrato che con poche gocce di pioggia si trasforma in un pantano dove persino le poderose moto BMW da enduro restano bloccate; anche gli animali selvatici, come le volpi e gli uccelli, sono ostili. Se nelle precedenti avversità la forza di volontà mi ha permesso di superare tutti gli ostacoli, in Patagonia è stata quella della disperazione che mi ha fatto proseguire, ma verso Rio Chico anche questa si è esaurita, a quel punto mi è rimasta l’ultima risorsa, non solo umana ma di qualunque essere vivente, la forza di sopravvivenza.

Matteo - Ushuaia fin del mundoFra tutte queste circostanze sfavorevoli c’è ne una favorevole: il numero di ore di luce. In questa stagione, e a questa latitudine, il sole non tramonta prima di 18 ore dal suo sorgere permettendomi così di pedalare anche 12 ore al giorno e attraversare lo Stretto di Magellano, tra Punata Arenas e Porvenir, il sette di febbraio. Sul traghetto Patagon, che mi stava portando dalla Patagonia all’isola maggiore della Tierra del Fuego, mi sono talmente commosso che due lacrimoni mi hanno rigato le guance. Arrivato a Ushuaia sono sceso dalla bicicletta, mi sono inginocchiato e ho baciato la terra davanti al cartello che solennemente comunica che si è giunti al Fin del Mundo. Alla prossima…

1737mo giorno, Uyuni (S20°27.650′ W66°49.459′), Bolivia, 4 novembre 2014

Maps Peru-BoliviaCronaca 115, Uyuni, Bolivia, 4 novembre 2014 10:15 – Dopo aver posticipato di giorno in giorno la partenza dalla party-house di Sabrina a Trujillo, il primo di settembre 2014 mi sono imposto di inforcare la bicicletta e riprendere il cammino in direzione sud. I 600 chilometri per arrivare a Lima sono stati identici ai 700 dalla frontiera ecuadoriana: deserto roccioso tagliato dalla striscia nera di bitume della Nazionale 1, le creste delle Ande in lontananza a sinistra, il blu intenso del Pacifico a destra e il vento freddo dell’Antartico in faccia. Le varie città che si incontrano, Casma, Harney e Huaco, sono tutte uguali con il piccolo centro storico spagnolo a griglia e la piazza centrale ai cui lati c’è sempre un’imponente chiesa e la residenza del governatore, oggi palazzo comunale. Il resto dell’abitato è squallido, triste, malinconico, con le facciate delle case lasciate nude con i mattoni che riempiono l’ossatura di calcestruzzo. Se pensiamo che per buoni 300 anni dell’impero coloniale spagnolo dalle miniere del Perù sono state estratte tonnellate d’argento e che se solo una frazione fosse rimasta in loco, queste città avrebbero potuto essere letteralmente ricoperte del nobile metallo o almeno avrebbero potuto essere magnifiche e stupire anziché intristire. Invece tutto era destinato alla potenza coloniale anche se, di fatto, ben poco restava in Europa perché quello che non veniva sottratto dai pirati mentre i galeoni attraversavano i Caraibi andava direttamente nelle casse degli imperi asiatici, scambiato con sete e spezie del Subcontinente indiano ma soprattutto con porcellane e tè cinese. Sembra incredibile che “la plata” del nuovo continente abbia finanziato la costruzione e l’ampliamento delle opere architettoniche più grandiose dell’Asia quali il Taj Mahal e il Zi Jin Cheng (la Città Proibita)!

Entrevista Sin BarrerasDi fronte a tanto squallore architettonico-urbanistico, quando si arriva a Lima e si girovaga per i lussuosi quartieri di Miraflores e San Isidro sembra di stare in un altro continente. Ho raggiunto la capitale peruviana il 12 settembre e mi sono fermato per quattro giorni ospite la prima notte di Enver e le altre tre di Eddy, entrambi ventenni che vivono con le rispettive madri. Quest’ultimo lavora nel dipartimento di montaggio della televisione nazionale peruviana e mi ha organizzato un’intervista di 40 minuti con la giornalista Gina Parker che conduce la trasmissione Sin Barreras sul Canal 7 Peru, dedicata al mondo della disabilità dove ho potuto raccontare la mia esperienza con questa realtà. Eddy fa parte di un gruppo di cicloviaggiatori che costruiscono biciclette reclinate, dove si sta sdraiati quasi supini su una poltroncina e più che spingere sui pedali, come in una bici classica, si pedala orizzontalmente. Oltre all’evidente comodità della postura, perché il peso del corpo non si concentra sul cavallo che poggia su un piccolo sellino evitando il così detto “callo del ciclista”, c’è anche il vantaggio della maggiore aerodinamicità per la minore esposizione del busto alla resistenza dell’aria, il che permette di raggiungere ottime velocità in piano e discesa. Il lato negativo, rispetto ad una bicicletta classica, si presenta in salita perché non si può sfruttare affatto il peso del corpo per spingere sul pedale montandovici in piedi ma si deve contare solamente sulla forza dei quadricipiti e tricipiti femorali. In collaborazione con Grzegorz , un ragazzo polacco professore in un’università cittadina, Eddy sta costruendo la sua prima bicicletta in alluminio (le altre sono di lega di ferro) senza saldature ma unendo le varie parti solo con rivetti, il che dovrebbe garantire una maggiore flessibilità unita ad un peso inferiore. Con Eddy e Grzegorz abbiamo scorrazzato in bici per tutta la città, incontrando altri amici e una sera siamo andati ad una rassegna di cinema polacco per vedere un film-documentario, basato su un’intervista di Oriana Fallaci, sulla vita del leader sindacale e poi primo presidente eletto dell’era post-sovietica: Lech Wałęsa.

bici reclinabileIl 16 settembre ho lasciato Lima e tre giorni dopo sono giunto a Pisco, l’ultima città lungo il litorale prima di attaccare la Cordigliera e tornare in quota, dopo 45 giorni e 1800 chilometri di terribile deserto costiero. Ora mi rendo conto che la decisione di risalire sulle Ande in quel punto è stata irrazionale e incoerente, perché quello è uno dei maggiori dislivelli tra il mare e la montagna. Il cammino più logico, e soprattutto più agevole per arrivare a Cuzco, sarebbe stato seguire l’oceano sino a Nazca e poi montare verso nord-est, ma ero talmente stanco di quell’orribile costa che non vedevo l’ora di cambiare ambiente. Così, fra lo stoico e lo stolto, il 19 settembre ho imboccato la Nazionale 24 salendo agevolmente sino ai 1500 metri con il vento che sino ad allora mi era stato contrario, ma che allontanandomi dal mare diventava mio alleato. Arrivato a Huaytara mi sono trovato di fronte ad una parete di roccia quasi verticale dove la strada riesce ad arrampicarsi grazie a centinaia di tornanti a gomito che si elevano di appena qualche metro uno sull’altro. In appena 60 chilometri si passa da 1600 a 4300 metri percorsi ad una velocità di appena quattro chilometri orari, se non avessi avuto la bicicletta sarebbe stato più veloce camminare! A rendere il tutto più tragico, in quota si è scatenata una grandinata con chicchi di ghiaccio di un buon centimetro di diametro che mi percuotevano, causandomi un paio di lividi sulle gambe, e ponendosi tra l’asfalto e i copertoni come sassolini, così da rendere ancora più arduo proseguire. Questo è stato uno dei rarissimo momenti in questo viaggio, che oramai si protrae da un lustro, in cui avrei gettato la spugna, ma l’ironia è che in queste circostanze, anche se avessi avuto i soldi per comprare un aereo privato per portarmi il più lontano possibile da lì, l’unica cosa da fare era continuare a pedalare sperando in un pronto riparo…

Matteo Tricarico - 4746 m - PeruCon le mani congelate, nonostante i guanti lunghi che avevo preso in Alaska, e piccole stalagmiti di ghiaccio che mi pendevano dai baffetti, ho raggiunto il borgo di San Felipe che la bufera di grandine cominciava a scemare. Mi sono fiondato nella locanda dove c’era una decina di avventori che mi hanno guardarono come fossi un marziano e la proprietaria mi ha invitato ad entrare nella cucina dove ardeva un fuoco di brace e c’era qualche grado in più che nella sala. Quel tepore mi ha riportato il colore alle gote ma l’ossido di carbonio del braciere, unito alla rarefazione dell’aria e alla conseguente scarsità d’ossigeno, mi hanno irritato a tal punto i bronchi che ho cominciato a tossire talmente forte che sono dovuto scappare fuori per riprendere fiato. Ho cenato a base di stufato di carne con patate e carote, il tutto annaffiato con una tisana amarognola ma dal gusto piacevole. Poi sono andato a letto in una capanna che la locandiera affitta ai pochi viandanti di quelle lande remote.

deserto a 4000 metriNonostante fossi più distrutto che stanco, per alcune ore non sono riuscito a prendere sonno, rimando al calduccio nel sacco a pelo con gli occhi sbarrati. La mattina seguente sono tornato a fare colazione alla taverna e ho chiesto alla signora cosa mi aveva servito la sera prima, cercando la ragione dell’insonnia. Questa mi ha risposto che la carne era di lama e la tisana era “mate de coca”, quest’ultima non poteva che essere la causa dell’insonnia. Chiaramente avevo già sentito parlare dei portentosi effetti di questa pianta (Erythroxylon coca): Diego a Quito mi aveva avvertito che una tazza di mate ha lo stesso potere eccitante di 20 tazzine di caffè espresso; Ivan a Pasto me l’aveva fortemente consigliata per controbilanciare gli effetti dell’altitudine perché fluidifica il sangue e aiuta la respirazione; gli indio la masticano per tutte le ragioni precedenti oltre che per attenuare i morsi della fame, la sete e la fatica. Al mercato del villaggio successivo ho acquistato per un paio di dollari alcuni grammi di foglie di coca che hanno un odore forte e pungente, molto più intenso della cannabis indica. La mattina ne ho masticate una decina di foglioline e le ho tenute per una mezzora tra il labbro superiore e la gengiva, come fanno gli svedesi con lo Snus. Obbiettivamente i suoi effetti benefici si sentono e la fatica dello sforzo fisico a queste altitudini ne è attutita. Quello che non sapevo è che ha effetti collaterali indesiderati come crampi allo stomaco e vomito, ed è quello che mi è successo un paio di ore più tardi quando mi sono dovuto fermare varie volte a rimettere anche l’anima, che non sono certo di avere anche se sicuramente ho una coscienza! Solo l’odore mi dava la nausea e stavo per buttare quella bustina che, anche se chiusa, profumava abbondantemente la camera, sino a quando, parlando con una signora in un ristorantino, ho appreso che ne avevo assunto una dose eccessiva, un overdose. Dieci foglie sarebbero state troppe anche per un montanaro di queste parti che la prende da bambino. Per un gringo come me, ne sarebbero bastate due al massimo tre foglie, così da allora, col giusto dosaggio, affronto meglio i 4000 metri.

Infatti, dalla città di Ayachucho, che ho raggiunto il 24 settembre, verso sud per 1500 chilometri, le Ande smettono di essere delle cordigliere con valli intorno i 2000 metri e passi poco oltre 3000, per diventare un massiccio che si mantiene tra 3800 e 4200 metri. Ci sono poche eccezioni, come il passo di Abra Apacheta a 4746 metri, mio record personale di scalata in bicicletta. Perciò, pedalando sull’altopiano, il primo ottobre sono arrivato alla città di Cuzco dove cominciò la cultura incaica che velocemente si estese a tutte le Ande e che fu drasticamente interrotta da Francisco Pizarro. L’odierna città è forse la più bella di tutto il Perù, con il suo centro storico di imponenti palazzi coloniali e grandiose chiese edificate smontando i templi Inca. Ma in una terra dove i terremoti sono all’ordine del giorno, non basta utilizzare i blocchi di roccia ben tagliati dagli Inca per edificare strutture perfettamente antisismiche, come facevano gli indigeni, bisogna anche saperli posizionare correttamente. Pertanto, mentre le costruzioni autoctone, come quelle di Machupicchu, da 700 anni restano lì immutate, le chiese spagnole crollano a ogni sisma di una certa entità.

Matteo a MachupicchuDa Cuzco partono le escursioni per la visita della cittadella sacra di Machupicchu, raggiungibile sia con un comodo trenino che in appena tre ore collega con Aguas Calientes, il borgo che si trova ai piedi della “vecchia montagna” (significato letterale in lingua Quechua), sia in auto dopo un’intera giornata su strade semi asfaltate e sterrate. La differenza tra il treno e la macchina, oltre che nell’agio, sta nel prezzo: su gomma è cinque volte più basso che su rotaia. A questo c’è da aggiungere che l’auto ti porta sino a Elektra che dista 10 chilometri da Aguas Calientes e questa distanza va coperta a piedi camminando sulle pietre dove poggiano i binari. Per questo, la divisione tra chi prende l’uno o l’altro mezzo di trasporto non è solo di censo ma soprattutto anagrafica. Così, il quattro ottobre mi sono trovato in un furgoncino con una coppia di neolaureati francesi, tre argentini studenti in legge e un’americana che aveva appena finito la scuola superiore la quale mi ha chiesto se non avessi sbagliato trasporto, sottintendendo che quelli della mia età andavano in treno! L’ho messa apposto raccontandole quello che ho fatto negli ultimi cinque anni e lei ha tirato fuori un paio di significativi “wow! cool!” che hanno concluso la questione. Per dimostrare che i quasi 30 anni di differenza non si concretizzavano in una reale differenza, almeno nel mio caso!, ho percorso i 10 chilometri ad un passo molto più rapido del suo e ho persino scalato e disceso i tre chilometri di montagna dal borgo al sito archeologico, mentre lei ha preso il pulmino. Se questo gesto atletico, dettato dall’orgoglio, mi ha fatto guadagnare la stima dei miei giovani compagni di viaggio, ha avuto un effetto disastroso sulle gambe tanto che nei tre giorni successivi sono dovuto restare quasi sempre in camera perché non potevo più camminare per i lancinanti dolori muscolari e crampi, specialmente quando scendevo le scale.

MachupicchuCon Machupicchu ho concluso la visita dei maggiori templi, palazzi e piramidi del mondo antico e medievale. (NB: nella seguente lista non ho voluto includere le grandi chiese cristiane europee e bizantine o le moschee mediorientali perché a mio parere fanno parte di un’altra categoria di bellezze architettoniche, cioè quelle ancora in uso). Ho cominciato visitando i templi della Magna Grecia in Basilicata e Sicilia; poi quelli egiziani di Luxor, Abu Simbel e Guiza; ancora quelli Khmer del Sud-est asiatico continentale di Angkor in Cambogia e quelli Cham di Mi Son in Vietnam; il Borobodur sull’isola di Java in Indonesia; quelli indiani di Purì nello stato di Orissa e quelli di Varanasi dell’Uttar Pradesh; sempre in India il Taj Mahal; quelli nepalesi di Kathmandu e il Manakamana; il palazzo persiano di Persepolis in Iran; il complesso del Zi Jin Cheng in Cina; e nel Nuovo Mondo le città Maya di Tikal in Guatemala, Palenque e Chichen Itza in Messico. Fra tutti questi, Machupicchu è il complesso archeologico meno impressionante da un punto di vista architettonico mentre è il più suggestivo per il contesto naturale in cui è edificato. La cittadella, perché non era una città capitale ma solo un centro religioso e di studi dove vivevano circa 500 persone, si trova sul cucuzzolo di uno spuntone di roccia circondato da una corona di montagne più alte. Quello che colpisce della tecnica di costruzione Inca è che i blocchi di pietra sono tutti diversi uno dall’altro, pare un mosaico di grosse e piccole tessere che, come in un puzzle, si incastrano una con l’altra in una combinazione che è unica. Mi ha anche sorpreso l’assolta mancanza di colonne e colonnati, che invece è la caratteristica comune e principale di tutte le altre opere che ho summenzionato. La ragione è adducibile all’alta sismicità del luogo che non permette né l’impiego di colonne né l’uso di blocchi tutti uguali, come nei templi Khmer con il sistema di tenone e mortasa, ma costringe a questa tecnica a mosaico. In fine, quello che rende unica l’architettura incaica è la perfetta armonia con l’ambiente e le sue irregolarità. Cioè, mentre le altre culture hanno trasformato il luogo adattandolo alle necessità architettoniche, gli Inca hanno fatto l’opposto costruendo intorno all’ambiente senza stravolgerlo.

LamaQuando il nove ottobre i dolori muscolari alle gambe mi hanno permesso di riprendere il cammino, anche se a dire il vero mi dolevano solo camminando e non pedalando, ho lasciato Cuzco proseguendo sull’altopiano in direzione del lago Titicaca e delle frontiera boliviana. Il paesaggio che si attraversa è di fatto un freddo deserto a 4000 metri, con radi cespugli erbosi che terminano con un aculeo, rocce e letti di fiumiciattoli che in questa stagione sono completamente secchi ma anche in quella della pioggia non diventano particolarmente gonfi. Le uniche forme di vita animale che si incontrano sono uccelletti, qualche condor e vasti greggi di lama, alpaca e vigogne. Oramai ho imparato a distinguerli: le vigogne sono le più belle dei tre per la silhouette armoniosa dalle lunghe zampe e il collo affusolato; i lama sono più massicci e sgraziati, ma la loro carne è deliziosa e bassissima in colesterolo; gli alpaca sembrano pecoroni giganti per la statura ma soprattutto per l’abbondante copertura di lana arruffata, molto più calda e leggera di quella degli ovini. Dalle tre specie si ricava lana ma se ne fa un uso diverso: quella di lama è dura e va bene per tessere coperte; quella di alpaca è delicata e soffice, ideale per abbigliamento; quella di vigogna è la migliore in assoluto per le proprietà termiche però, mentre le altre due specie una volta tosate il pelo ricresce, quest’ultima no, quindi l’animale va ucciso e questo lo sta portando all’estinzione.

Estremamente pittoreschi sono gli abitanti indigeni che hanno tratti distintamente asiatici, ma non mongolici, e quello che li differenza dagli orientali è il naso molto più grande e aquilino. Le donne vanno vestite con variopinte gonne pieghettate che arrivano al ginocchio e che coprono vari strati di sottane. Portano calzettoni di lana con disegni geometrici, corpetti attillati senza maniche, camicie a sbuffo e calzano scarpette basse tipo mocassini college inglesi. Ma quello che le rende uniche sono i copricapi che variano di colore e forma a seconda dell’etnia o del luogo di residenza. Se ne vedono di tondi, a bombetta, a cilindro, a cono, a falde larghe e strette, di paglia intrecciata e di feltro rigido, semplici e con vivaci decorazioni floreali, che coprono tutta la calotta cranica o sono appena appoggiati. Quello che invece accomuna tutte le donne, a prescindere dall’età e provenienza, è l’acconciatura dei capelli, sempre di un intenso nero corvino e legati in due lunghe trecce spesso unite all’estremità inferiore. Come sporte utilizzano le coperte di lana di lama a righe che legano sul petto e caricano sulle spalle a mo di zaino dove trasportano di tutto, da infanti a patate. Come in tutti i paesi in via di sviluppo, le donne qui lavorano molto di più degli uomini, è con la modernità che il gentil sesso si impigrisce…

alba lago TiticacaIl 13 ottobre ho raggiunto le rive del lago Titicaca fermandomi nella città di Puno e alloggiando in una pensione con vista lago. Nei quattro giorni che mi sono fermato ho potuto ammirare le variazioni di colore dell’acqua che passa dall’essere arancio, con i primi raggi dell’aurora, a un azzurro turchino nella mattinata sino a tingersi di un intenso blu cobalto nel pomeriggio inoltrato, per finire nero come la pece nelle ore notturne. Puno è stata l’ultima città peruviana prima di costeggiare il sud-ovest del lago ed entrare nel quarto paese Sudamericano di questo viaggio, la Bolivia.

Matteo Tricarico - frontera Peru-BoliviaLa frontiera l’ho attraversata a Desagadero e lo stesso giorno sono giunto alla città di Nuestra Señora de La Paz, che con i suoi 4200 metri (calcolati nel quartiere di El Alto) è la capitale più alta al mondo. Per essere precisi, La Paz è solo la sede del governo e parlamento boliviano perché costituzionalmente la capitale del paese è Sucre. Il centro urbano è adagiato ai piedi di un semicerchio di monti ricoperti da ghiacciai e la notte fa talmente freddo che anche in questa stagione può nevicare, come ho potuto constatare una mattina in cui ho trovato tutto bianco. Siamo comunque a latitudini subtropicali, quindi il giorno c’è un sole che letteralmente brucia la pelle ma non ci si puoi scoprire perché arrivano certe sferzate di vento gelido che raggelano.

ghiacciaiProseguendo sull’arido altopiano, coronato da scintillanti ghiacciai, il 24 ottobre sono arrivato a Potosì, il cui centro storico è patrimonio dell’umanità sotto il patrocinio dell’UNESCO, perché è veramente pittoresco. Anche qui gli spagnoli hanno edificato più chiese che case, l’unica cosa di cui sono stati prodighi in queste terre, per il resto hanno solo razziato e distrutto! Certo che, i popoli autoctoni del Nuovo Continente al pari dei neri africani e per certi aspetti gli ebrei (che però in fatto di far soffrire un altro popolo ultimamente si stanno rifacendo), sono quelli che hanno penato maggiormente in tutta la storia dell’umanità.

salar de Uyuni con biciPotosì è stata solo una tappa per quella che era la mia destinazione, la maggior attrazione turistica della Bolivia: el salar de Uyuni. Si tratta di una distesa di sale, per capirci cloruro di sodio (NaCl), che si estende per una superficie di 12.000 Kmq in una specie di depressione a 3650 metri che fino a circa 10.000 anni fa era un vero lago che si è completamente asciugato. Lo spessore del sale varia da due a dieci metri per un totale di dieci miliardi di tonnellate, ma ci sono anche 140 milioni di tonnellate di litio (Li), se ne possono fare di batteria! È un luogo assolutamente surreale, che pare una candida distesa di neve e che ho percorso pedalando per 100 chilometri sino all’isola di Incahuasi, dove mi sono fermato a capeggiare per due notti. Il bianco del sale riflette i raggi solari per cui fa caldo ma quello che ho imparato a mie spese è che questo riverbero ha bruciato la pelle in parti del corpo dove normalmente non metto la crema solare quali: il sottomento, il sotto dei polsi e le narici. Da tre giorni ogni volta che aspiro o mi soffio il naso sento come una carta vetrata che sfrega le narici… È il posto più perfettamente piatto della terra dove manca ogni forma di orientamento e la sola maniera di non perdersi è di utilizzare una bussola o un GPS. Nonostante le ustioni e il fatto che ho dovuto pulire dai cristalli di sale ogni ingranaggio delle bicicletta e buttare la catena, è stata un’esperienza indimenticabile.

Saranno le foglie la coca che mi fanno passare la fame o l’altitudine che costringe il mio metabolismo a bruciare più calorie o ancora il fatto che sto mangiando solo carne di lama, ma negli ultimi due mesi sono passato dal pesare 80 chilogrammi, su cui mi ero stazionato dallo sbarco in America, a 70 chilogrammi, come quando vivevo in Asia mangiando principalmente verdure e frutta. Alla prossima…

1672mo giorno, Trujillo (S8°07.283′ W79°01.934′), Perù, 31 agosto 2014

map Colombia-EcuadorCronaca 114, Trujillo, Perù, 31 agosto 2014 20:00 – Quando il 21 giugno 2014 il taxi che alle 5.30 di mattina avrebbe dovuto portarmi all’aeroporto di La Havana non si è presentato, sono sceso per strada e ho fermato una Buick della metà degli anni 50. Mi sono accordato con l’autista di accompagnarmi per un prezzo molto inferiore a quello dei taxi ufficiali e ho messo il cartone con la bicicletta sui sedili posteriori dove è entrato perfettamente in tutta la sua lunghezza, sicuramente la macchina più larga in cui ho viaggiato! Dietro di me nella fila per il check-in all’aeroporto c’era Kim, un ragazzo coreano, anch’egli con una bicicletta imballata, che andava a Bogotà. Aveva cominciato il suo viaggio su due ruote a Los Angeles con destinazione la Patagonia e poi l’Europa. Il decollo era previsto per le otto ma alle dieci ci è stato comunicato che a causa di problemi tecnici il volo era posticipato alle venti. Come sempre succede, nelle ore d’attesa si fa conoscenza con gli altri viaggiatori uniti nella stessa sorte e qui ho attaccato bottone con Sakura e Akano, due ragazze giapponesi nel mio stesso volo. Il decennio trascorso in Asia mi fa sentire più vicino alle persone con gli occhi a mandorla che ai miei simili indoeuropei.

Atterrati in terra colombiana a notte fonda tutti e quattro, più le due biciclette, abbiamo preso un taxi furgoncino per l’ostello Sayta nell’antico quartiere di Santa Fe. La mattina seguente a colazione ho scoperto che l’ostello è un punto di ritrovo per viaggiatori orientali ed ero l’unico bianco della decina di ospiti. La mia intenzione era di fermarmi un solo giorno ma, scartando la bicicletta, sono trasalito quando ho visto che il supporto del deragliatore posteriore era vistosamente piegato all’interno a seguito di una forte pressione che aveva subito nell’aereo. La curvatura era tanto accentuata che con le marce basse la puleggia inferiore toccava i raggi delle ruota, per il momento non potevo andare da nessuna parte. Quando il panico è passato, ho chiesto aiuto ai ciclisti cittadini tramite il sito warmshowers.org e il primo a rispondermi è stato David, un neolaureato in fisica che vive con sua madre nel lussuoso quartiere di Chapinero. Sono stato suo ospite per cinque notti mentre la bicicletta era dal suo meccanico di fiducia, che l’ha risistemata facendo un magnifico lavoro perché il deragliatore stesso era leggermente piegato.

montagne BogotaDurante la mia permanenza a Bogotà sono andato in giro con il mio ospite incontrando altri ventenni in locali o a casa loro. In una di queste occasioni mi trovavo a parlare con una sua amica che mi raccontava di una giovane coppia di australiani che avevano vissuto in Canada, avevano attraversato il Messico in bicicletta e che ora si trovavano in città. Le dissi che otto mesi prima a Monterrey in Messico avevo conosciuto una coppia che aveva fatto esattamente la stessa cosa e che proseguiva per il sud America. Da una sommaria descrizione fisica poteva essere lo stesso paio e, più si aggiungevano piccoli particolari, più cresceva la possibilità che lo fosse, finché è diventata una certezza inconfutabile che sicuramente erano gli stessi due australiani. Dopo qualche telefonata, fu organizzato un incontro in un bar lì vicino e tutti ci dirigemmo verso quest’incredibile coincidenza del caso, increduli per quanto fosse piccolo il mondo. Quando abbiamo visto il taxi con i miei possibili amici, tutti abbiamo tenuto il fiato sospeso per un attimo sino al momento in cui la portiera si è aperta e non ho riconosciuto né la ragazza né tanto meno il suo partner! Dopo tutto ci sono 23 milioni di australiani e questo pianeta non è così piccolo…

David mi ha chiesto di restare per un’altra settimana, quando anche lui sarebbe partito per un giro ciclistico di Colombia e Panama, perché la mia presenza migliorava la sua relazione con la madre creando un cuscinetto che attutiva gli attriti. Anche la madre, una pensionata che aveva lavorato a livello manageriale per enti pubblici e imprese private, mi disse che potevo stare quanto volevo perché le tenevo compagnia e le sue conversazioni erano realmente interessanti ed istruttive. Ma, per sua stessa natura, un viaggio deve continuare, così la mattina del 28 di giugno, accompagnato da David alla porta sudorientale di Bogotà ho attaccato la cordigliera centrale delle Ande.

piccolo mamuthLa capitale colombiana, benché si trovi a 2700 metri, è in una vallata circondata da una corona di montagne che superano i 3000 metri e che bisogna superare prima di scendere per una discesa di una buona quarantina di chilometri. Così si arriva ai 700 metri di La Mesa, dove ho trascorso la notte, per poi risalire ai 1300 di Ibaqué, fermandomici due giorni ospite di Tiena e suo marito, che appena qualche giorno prima avevano ospitato Kim, il ragazzo coreano incontrato a Cuba. Questi sono due artisti del mosaico che colorano e cuocono loro stessi le tessere per la composizione così da creare gradazioni di tonalità che sfumano armoniosamente facendo sembrare la figura un vero dipinto per omogeneità del colore e i dettagli dell’immagine. Ho mostrato loro i video dei mosaici bizantini che ho ripreso a Istanbul e ne sono rimasti stupefatti e, mi hanno assicurato, anche ispirati.

So che i vincitori del Giro d’Italia del 2014 sono stati Nairo Quintana e Rigoberto Uran solo perché mi trovo nella loro terra natale e ho appreso che si sono fatti le gambe scalando e, presumo, discendendo lungo i 45 chilometri di strada che il quattro luglio ho cominciato a percorrere. Il tratto è chiamato “la linea” ma il nome non corrisponde alla realtà perché di rettilineo non ha proprio nulla. Al contrario è un’interminabile serie di curve sul fianco della montagna ricoperta di lussureggiante vegetazione equatoriale, che sempre più ripido arriva sino al passo a 3300 metri. Qui per la prima volta ho realmente sentito l’effetto della rarefazione dell’aria con il respiro affannoso nonostante respirassi a pieni polmoni, sicuramente superiore al normale. I nativi di queste terre hanno sviluppato due mutazioni genetiche che li aiuta a vivere agevolmente a queste altitudini: una cassa toracica particolarmente amplia in rapporto al resto del busto, che gli dà quella apparenza un po’ tozza, e un maggior numero di globuli rossi nel sangue che permette di trasportare più ossigeno agli organi. L’altro effetto dell’altitudine è la temperatura dell’aria che, nonostante mi trovassi all’equatore dove il sole è veramente a picco, scendeva in rapporto diretto con l’altezza tanto da non superare i 10 gradi Centigradi anche durante il giorno.

matteo bici e ponteQuando mi chiedono se sia faticoso pedalare in montagna rispondo: solo la salita, la discesa è riposante! E così fu quella discesa della Cordigliera occidentale sino ad Armenia, dove mi sono fermato una notte da Hernando e anche lui avevano ospitato Kim la settimana prima. Da quel punto l’autostrada 25 percorre una lunga vallata pianeggiante tra le cordigliere, arrivando a Palmira dove ho sostato da Ramiro, un ventenne campione di bici da montagna che partecipa e spesso vince competizioni in tutto il paese. Quella notte erano ospiti anche una coppia di ciclisti canadesi partiti da Vancouver con destinazione la Patagonia. Due tipi avventurosi che in passato con due canoe avevano costeggiato tutto il litorale della Colombia Britannica sino alle isole dell’Alaska meridionale fermandosi a dormire sulla spiaggia e mangiando solo pesce pescato durante il giorno. Ma quello che trovo più straordinario è che sono andati da Città del Capo al Cairo via terra, attraversando tutto il continente africano senza volare, io avrei paura a farlo!

matteo angel carlos - caliLa tappa successiva è stata Cali, raggiunta l’otto di luglio, dove ho fatto sosta per tre giorni e sono stato costretto a comprare un nuovo paio di occhiali da vista perché i miei sono stati masticati dal pestifero cane di Carlos e Paola, dai quali ero ospite. Di buono c’è che la visita oculistica a cui mi sono sottoposto, non ha rilevato gran differenza dall’ultima che risaliva a sette anni or sono. A casa di Carlos ho anche conosciuto Angel e Martix, una coppia di cicloviaggiatori spagnoli, con lui che in inverno si esibisce come mimo e clown in un circo in Svizzera e che stavano risalendo il Sud America fermandosi a montare spettacolini in scuole rurali e centri per bambini indigenti.

La valle, che per la sua maggiore estensione è sfruttata per la coltivazione della canna da zucchero, termina a Santander, un’altra sosta molto interessante perché sono stato con la famiglia di Javier, la sola pura indio con cui mi sia fermato, ma anche la più umile che abbia contattato via Warmshowers.org. I quattro membri vivono quasi all’aperto, compresa la doccia e la cucina e fanno eccezione solo due camerette di mattoni cotti coperti di lamiera ondulata, una delle quali mi è stata assegnata solo. Vivono vendendo minuti di conversazione telefonica alla gente in piazza e la buona decina di telefonini Nokia che usano hanno le tastiere talmente consumate che i numeri si possono solo indovinare. L’umiltà dignitosa di queste persone è toccante, ho invitato i due figli a cenare in qualche ristorantino ma questi hanno preferito mangiare un panino con salsiccia da una bancarella in piazza.

Il 12 luglio sono arrivato a Popayan chiamata la città bianca perché tutte le case del centro storico coloniale sono completamente tinteggiate a calce bianca, a eccezione di alcuni dettagli dei palazzi e della chiese, come gli stucchi o le cornici dei portoni, dipinti a colori più vivaci. Quasi tutte le insegne dei negozi sono di ottone, invece che al neon, dando al tutto un’atmosfera e sensazione di antico, come era in un tempo passato quando tutto era meno luminoso e più misterioso.

farfalla bluA 23.5 chilometri a sud della città bianca, alle 11:30 del mattino, sulla principale direttrice colombiana nord-sud, l’autostrada nazionale 25, per la prima volta in vita mia ho avuto un’esperienza che avrei preferito evitare: sono stato rapinato. Erano due ragazzotti, forse nemmeno maggiorenni, che con un motorino mi hanno affiancato e bloccato in un tratto di strada tra due strette curve che non permettevano la visibilità che per poche decine di metri. Il più grande ha tirato fuori della cintura una pistola automatica di colore nero, me la ha mostrata e ha detto “la camara”. A quel punto ho capito che si trattava di una rapina e non dei soliti curiosi che spesso mi avvicinano con domande. Ho aperto la borsa che tengo al manubrio tirando fuori la macchina fotografica, mentre il più grande dei due mi strappava il lettore MP3 che tenevo al braccio. L’altro più piccolo, ha visto che nella borsa c’era anche la videocamera e ha provato a prenderla ma l’ho fermato. A questo punto, il grande ha estratto nuovamente la pistola e me la ha puntata in viso a una trentina di centimetri mentre il piccolo si impossessava della videocamera e del telefonino. Poi si sono guardati intorno e sono saltati in sella al motorino sparendo dietro la prima curva. Ero ancora abbastanza sotto shock o meglio cercavo di comprendere a pieno quello che era appena accaduto, quando le macchine hanno ricominciato a transitare. L’intera ruberia non è durata più di un minuto, tutto è stato incredibilmente veloce, rapido come un batter d’occhio in cui quella strada è stata deserta, anche se credo che il passaggio di qualche automobile avrebbe solo posticipato quella rapina a mano armata di qualche altra curva più avanti tra le montagne.

grotta con facciaMi piace pensare, e sempre dico, che il 99% dell’umanità è buona e che il compito della polizia sia di proteggerla da quell’altro 1%! Purtroppo qui nel Nuovo Mondo devo rivedere questa mia statistica perché la sicurezza personale in tutti questi paesi è un problema reale e quotidiano. Si nota da come la gente ti guarda, seguendoti con gli occhi senza girare la testa, come per non farsi notare. In tutta la mia vita questa è stata la prima volta che mi hanno puntato in faccia una pistola per rapinarmi ma tutti i locali che ho conosciuto sono stati vittima di uno o più episodi di crimine violento con armi bianche o da fuoco, episodi quasi inesistenti nei paesi del Sud-est asiatico dove ho vissuto. In Perù il cinque ottobre ci saranno le elezioni politiche e negli slogan di tutti i partiti campeggiano sempre le parole “más seguridad”, segno che il problema è tangibile e fortemente sentito dagli abitanti. Mi hanno persino consigliato di tenere sempre pronta un piccola somma di danaro, intorno ai 20 dollari perché meno sarebbe offensivo e non credibile e più sarebbe troppo!, pronta da cedere nella probabile eventualità di essere “asaltado”.

Le ragioni di questa violenza criminale sono innumerevoli e partono dalle culture precolombiane con i loro sacrifici umani, attraverso tutta la cruenta vicenda della colonizzazione con la schiavitù e la de-umanizzazione delle popolazioni autoctone, fino alle odierne guerriglie maoiste che, specialmente in Colombia, hanno portato avanti conflitti per decenni diffondendo l’uso delle armi da fuoco. Il tutto farcito con quell’idea, ancora molto sentita, del territorio selvaggio, delle frontiera ancora da scoprire e espandere, del doversi difendere dai pericoli di queste terre tutt’ora selvatiche. Aggiungendoci anche i problemi moderni delle abissali disuguaglianze economiche e sociali, della mancanza di istruzione e della cultura violenta presentata dai media, della mentalità degli abitanti del terzo mondo in generale di credere che un occidentale sia sempre più ricco di loro, e molte volte lo è. Mettiamoci pure le degradate condizioni familiari, sociali e finanziarie in cui forse si trovavano quei due giovani rapinatori, e ponendo che erano sotto l’influenza di pesanti sostanze stupefacenti, tanto abbondanti in queste contrade, riesco quasi a comprenderli, ma non certo a giustificarli perché sicuramente non l’hanno fatto per fame, non ne va della loro sopravvivenza. Sono certo che i soldi che guadagneranno dalla vendita della telecamera, non credo che la tengano per girare filmini!, saranno utilizzati per fini molto più futili ma più piacevoli.

matteo chiesaIn questi ultimi 18 mesi trascorsi lungo le Americhe ho imparato che questo è un continente di estremi e di eccessi: c’è troppa povertà ma anche troppa ricchezza, ci sono troppe disuguaglianze sociali e troppa ignoranza, troppa religione e troppa violenza, ma il peggio di tutto è che il volume della musica è sempre eccessivamente troppo alto!

Quando ho superato quel primo momento di shock e ho ricominciato a ragionare lucidamente, ho proseguito per un paio di chilometri sino al barettino più vicino e ho chiamato la polizia che mi ha chiesto di che colore fossero vestiti i due. Per fare una denuncia ufficiale avrei dovuto ritornare sui miei passi per una quindicina di chilometri e vi rinunciai. Questo crimine mai rientrerà nelle statistiche ufficiali della Colombia, ma solo in quelle mie personali. Chiaramente avevo già rinunciato a qualsiasi speranza di rivedere la mia roba e con essa i filmini di Cuba e della Colombia che vi erano registrati e che non avevo ancora copiato nel computer. Alla fin fine, la vera perdita che ho subito non è quella economica e di fiducia nell’umanità, ma quella sentimentale e il fatto che ci sarà un buco nella narrazione visiva del viaggio.

andrea ivan con tenda e bici 1Un’altra interessante sosta è stata quella della città di Pasto, raggiunta dopo 200 chilometri di saliscendi tra i 600 metri dei fondovalle e i 2800 dei passi, su una strada che di snoda tagliata nella viva roccia della montagna. Qui i pendii sono particolarmente ripidi e da una valle all’altra la vegetazione passa dall’essere verdeggiante e rigogliosa, per la presenza di un fiumiciattolo, all’arida e spinosa dove l’acqua non giunge. Lunghi canaloni sono quasi desertici e spogli di flora, con la sola eccezione di piante grasse e secchi arbusti spinosi, mentre altri, ad altitudini inferiori, sono più lussureggianti con alberi bassi che sembrano più ad alti cespugli. Ma ci sono anche fitti boschi di pini e betulle lungo le pendici del Cerro Morazurco che dal nord sovrasta tutta Pasto visibile giù a valle dai 3000 metri del passo. In città sono stato da Andrea e Ivan. Lui sta terminando il suo dottorato di ricerca in letteratura su “Las autobiografías de escritores”, analizzando come questi autori si auto raccontano e come la narrazione differisce dai loro personaggi, mentre lei gestisce una compagnia di servizi postali cittadini in bicicletta. Due cicloviaggiatori che stanno preparando un viaggio sino a Ushuaia a partire dal mese di settembre. Qui mi sono fornito di nuovo equipaggiamento elettronico conseguendo una macchina Pansonic impermeabile sino a cinque metri sott’acqua e che registra sia video in fullHD sia fa foto a 16 Megapixel, concentrando così in un unico apparecchio video e foto e riducendo volume e peso della camera e del caricatore di batteria. Di fatto i rapinatori mi hanno alleggerito in più di un senso.

La mattina del 19 luglio ho lasciato Pasto in compagnia di Ivan e Andrea che volevano trascorrere una notte campeggiando nella valle di Pilcuan, ad una settantina di chilometri a sud della città. La prima metà è una scalata da 2600 a 3300 metri per poi scendere ad appena 1800, dove ci siamo fermati per la notte ponendo le tende a qualche metro dagli argini di un affluente del Rio Guaitara, immersi in una folta selva composta da alberi di conifere dei climi più rigidi ma anche di una folta vegetazione tipicamente equatoriale. La mattina seguente ci siamo separati, io proseguendo verso il vicino confine con l’Ecuador e loro risalendo la china del Navarrete per tornare a casa.

Matteo Tricarico Ecuador borderLo stesso giorno ho raggiunto la città di Ipiales, l’ultima in terra colombiana, da dove comincia la vera cultura andina che nell’ultimo secolo precolombiano corrispondeva con l’estensione dell’impero Inca che arrivava sino all’odierno Cile. La frontiera con l’Ecuador si trova a 2800 metri d’altitudine, tra montagne ricoperte di boschi di pini e abeti, con le bandiere dei due stati che sui pennoni si fronteggiano, identiche nei colori e nella loro disposizione con l’aggiunta di uno scudo che campeggia in quella ecuadoriana. I due paesi, per i primi 20 anni dall’indipendenza, erano un tutt’uno chiamato Grande Colombia ma i differenti substrati culturali ancestrali hanno portato al conflitto e alla creazione di due entità statali separate sin dal 1830.

Senza rendermene conto ho attraversato la linea dell’Equatore passando così nell’emisfero meridionale e, a tappe forzate, ho proseguito lungo la Pan-americana per la capitale Quito, che ho raggiunto il pomeriggio del 25 luglio. Qui sono stato a casa di Diego e sua moglie, entrambi amanti della bicicletta che hanno una bambina di nove anni e uno di sette. Con loro mi sono fermato solo due notti e per un’intera giornata ho visitato il centro storico, che giustamente è patrimonio dell’umanità per la sua magnifica architettura coloniale sia civile che religiosa. Di seguito ho continuato a discendere verso sud per la nazionale 35 e ad Ambato sono stato ospite di Bruno, un ragazzo che ha vissuto maggiormente in Brasile, paese originario di sua madre, che qui gestisce due ristoranti lasciatigli dal padre. Bruno ha lungamente viaggiato nelle Americhe e Ambato, dove viveva in pianta stabile solo da un annetto, gli stava stretta e cercava una maniera di liberarsi per alcuni mesi e partire, un problema comune a molti…

scimmie nella rocciaQuesto è il punto geograficamente più vicino alla più vasta distesa di giungla di questo pianeta: l’Amazzonia, che non potevo perdere di visitare. Perciò il 31 luglio ho imboccato la nazionale 30 che, via Baños arriva sino a Puyo ai margini della foresta, via una lunga discesa scavata nelle pendici delle montagne che arriva a valle tra una vegetazione sempre più fitta sino a diventare impenetrabile. Le scimmie Cappuccino bianche e nere diventano abitanti comuni della volta della foresta e nelle spaccature dei declivi si incanala l’acqua che dalla montagna scende nell’immensa conca amazzonica. Prima in milioni di rivoli, poi in migliaia di ruscelli impetuosi che, sempre più larghi, confluiscono in centinaia di fiumi che unendosi creano il più maestoso di tutti: il rio delle Amazzoni. Così, le piogge e l’umidità del Pacifico, via la colonna vertebrale della foresta, dopo 7000 chilometri, vanno a gettarsi nell’Atlantico, dopo aver aiutato a nutrire l’area con maggior biodiversità terrestre e d’acqua dolce.

Nella calda Puyo decisi che era il momento di migrare in aree dal clima più mite lungo la costa ecuadoriana. Avevo trascorso l’ultimo mese e mezzo tra le alte e fredde cime andine, perciò ritornai sui miei passi ad Ambato per seguire a Guaranda. Quest’ultimo tratto è stato tanto duro fisicamente quanto incantevole paesaggisticamente perché la strada sale a 4300 metri sino all’altopiano di una decina di chilometri ai piedi del vulcano Chimborazo che, tutto ricoperto di bianchi ghiacciai, si erge in forma di cono perfetto per altri 2000 metri. Era la prima volta che pedalavo a quell’altitudine dove la vulcano Chimborazo panrarefazione dell’aria è un fattore significativo mentre appena lo si percepisce 1000 metri più a valle e ho dovuto fermarmi a riprendere fiato per alcuni minuti ogni paio di chilometri. Sull’altopiano la temperatura era appena superiore allo zero e ho cercato riparo nella capanna di una famiglia di indio per potermi cambiare con pantaloni e maglia lunghi. Dei cinque membri della famiglia sono due delle figlie ventenni parlavano un po’ di castigliano, perché andavano al mercato a vendere le patate che coltivano, gli altri conoscevano solo il Quechua, la lingua franca degli Inca. Nella fumosa saletta dove ardeva un tenue fuoco di brace, mi hanno offerto un piatto di riso, patate e mais che ho praticamente divorato con due cucchiaiate. Poi ho proseguito sul tavoliere brullo, ricoperto solo di pietre bianche e ciuffi d’erba giallastra dove pascolavano branchi di alpaca dalla lana dello stesso colore del suolo. Intirizzito dal freddo, affannato e stanco, da Guaranda ho cominciato la discesa verso il Pacifico, da cui mi ero separato in Messico nove mesi prima, e con cui il sei agosto mi sono riunito all’altezza di Puerto Cayo, a una quarantina di chilometri a sud di Manta.

costa ecador panTutta la costa è costellata di villaggi di pescatori che si sono parzialmente convertiti in zone turistiche con strutture alberghiere di ogni livello per accogliere statunitensi e canadesi che vengono a fare surf ma soprattutto giovani argentini e cileni a fare festa. La località più frequentata e conosciuta è Montañita, un concentrato in quattro isolati di bar, ristorantini, pub e ben sei grandi discoteche senza pareti ma con solo il tetto che dalle dieci della sera alle sei della mattina fanno ballare migliaia di appena ventenni. Ero stato avvisato della tempesta di decibel che ogni notte si abbatte sulla cittadina e ho alloggiato a più di un chilometro dal centro ma, nonostante la distanza dalla fonte, le onde dei bassi facevano vibrare i vetri della mia finestra. Per tutta la notte le viuzze diventano teatrini dove giocolieri, mangia-fuoco, prestigiatori, mimi e artisti di strada di ogni sorta si esibiscono in spettacolini che spesso coinvolgono gli spettatori. La movida notturna è concentrata in uno spazio ristretto ma è impressionante per vitalità, ragazzi di buona famiglia appena ventenni si divertono bevendo e ballando in un ambiente hippy e fricchettone.

Sino a Guayaquil ho percorso le colline costiere ricoperte di alberi bassi e vegetazione a macchia, per poi proseguire dritto al sud alla frontiera peruviana. Guardando la mappa di questi paesi mi sono sempre chiesto perché le ultima grandi civilizzazioni precolombiane si sono sviluppate nelle montagne invece che lungo questa fascia di terra piatta tra l’oceano e le cordigliere e ora l’ho capito: quell’area è completamente desertica. È una distesa rocciosa e arida, che comprende tutto il Perù e il nord del Cile e di cui ho percorso solo i primi 1000 chilometri, molto simile agli altopiani iraniani o, per la vicinanza al mare, al deserto costiero dell’Egitto. Anche qui c’è lo stesso contrasto tra il blu intenso dell’oceano e il beige chiaro della roccia sabbiosa puntellata di arbusti spinosi che non permette alcun tipo di coltivazione. Una notte mi sono fermato a dormire in tenda nei pressi di una fattoria dove un anziano padre e suo figlio tiravano fuori quello che potevano da un piccolo gregge di una decina di capre capaci di nutrirsi delle poche foglie che riuscono a strappare tra le spine. Come in tutti i deserti che si rispettino c’è sempre un forte e costante vento che in questo caso sta soffiando da sud lungo la costa, esattamente contro le direzione che sto seguendo. Nell’emisfero nord, dall’Alaska in giù, ho sempre avuto il vento alle spalle mentre qui mi toccherà contrario sino alla Patagonia, un ciclista argentino l’ha definito lo Yin e Yang del continente. Queste condizioni avverse stanno rallentando molto la marcia e la monotonia dell’ambiente circostante non aiuta il morale. Ma devo continuare e credo che mi mancherà questa piattezza del suolo quando mi troverò a 4000 metri nel Perù meridionale e in Bolivia…

Frontiera PeruIl 16 agosto ho attraversato la frontiera peruviana fermandomi per un paio di notti a Tumbres ma, proseguendo relativamente rapido nonostante il vento contrario, ho raggiunto Trojillo, 600 chilometri di terra arida lungo la nazionale 1. Qui sono ospite di Sabrina e di Max, il suo ragazzo svedese classe 1954 e 25 anni più vecchio di lei. Un tipo interessante che appena diciannovenne aveva viaggiato via terra da Stoccolma ai confini dell’India con il Myanmar, un viaggio attraverso Afghanistan, Kashmir e Tibet, una via che oggi non si può più percorrere. I due hanno dedicato una stanza della vasta casa a camera degli ospiti di passaggio che li contattano via i siti Couchsurfing.org e Warmshowers.org. C’è più movimento che in un ostello e negli ultimi quattro giorni sono venuti e andati via due ragazzotti brasiliani, una coppia tedesca e Karel, un cicloviaggiatore di 63 anni della Repubblica Ceca che aveva cominciato il viaggio in bicicletta con il figlio e la ragazza in Cile, ma questi ultimi si erano fermati in Bolivia mentre lui aveva continuato solo dirigendosi a Bogotà e poi un mese a Cuba. Gli ospiti occasionali si aggiungono a un gruppetto di avventori regolari della casa dove quasi ogni notte c’è una festicciola con superalcolici che scorrono come limonata. Agli ospiti di passaggio è sempre richiesto preparare un piatto tipico del paese d’origine e Max mi ha domandato di cucinare spaghetti alla carbonara con vero parmigiano italiano. Non ho ancora stabilito la data di partenza, appena mi decido ve lo comunico… Alla prossima.

Cronache precedenti

Le seguenti cronache sono state incorporate nei capitoli del Diario di bordo e si consiglia la lettura di questi perché più ricchi di dettagli e completi.

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2 Responses

  1. Ciao, sono un amico di Padre Luigi, che ho trovato con piacere su Fb. Ottima la scelta delle canzoni. Ti propongo anche somewhere over the rainbow what a wonderful word di Israel Kamakawiwo’Ole (cantante hawaiano). E’ molto orecchiabile e penso che potrebbe piacere alle tue allieve!

  2. come racconti tu.. 🙂 .. ti par veramente d’esserci lì ed in ogni caso ti viene ‘na voglia matta di farlo per davvero!
    grazie grande Matt, auguroni!

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